Il secondo viaggio in Scozia – 2° parte

7 agosto 2020
Se il buongiorno si vede dal mattino… oggi sarà un sogno! Appuntamento alle 8.00 sul Royal Mile dai nostri amici di ScoziaTour per partire finalmente alla volta delle Highlands e del fatidico Loch Ness. Dopo la nostra colazione salata [ahhh ormai possiamo quasi considerarci autoctoni! 🤣], ci incamminiamo nel fresco del mattino verso il luogo dell’appuntamento, dove ci ritroviamo con gli altri partecipanti al tour.
Con tutte le precauzioni del caso [mascherina indossata per tutto il viaggio sul mezzo dell’agenzia] ci posizioniamo, allacciamo le cinture e scalpitiamo per la partenza!

La nostra guida si chiama Valeria, una ragazza davvero simpatica e alla mano [e con una magnifica chioma rossa e riccia… mi fa pensare subito alla mia grande amica Cri!].
Ci intrattiene magnificamente, passando dalla storia alla geografia, da quiz musicali ad attori famosi. Interessante e divertente, il viaggio in auto vola via con la bellezza dei paesaggi scozzesi che scorrono fuori dal finestrino.

Ma andiamo con ordine, prima tappa Loch Lubnaig.
Parcheggiato il furgoncino nello spiazzo dedicato, ammiriamo le rive del lago: siamo a due passi dall’acqua!
Il tempo purtroppo non è dei migliori, ma siamo in Scozia e quindi va bene così!
Il cielo nuvoloso si specchia nel lago e rende cupo il colore dell’acqua, i boschi di un verde scuro e intenso incorniciano la riva opposta del lago… very dramatic view!

Valeria ci istruisce sulle tempistiche: da qui alla prossima tappa non si incontreranno bar o bagni, sicché ci dice di approfittare del chiosco che c’è qui per una bevanda calda [è proprio freschino!!] e la tappa “bagno”. Mentre la maggior parte di noi si mette in fila al bar [The Cabin], gli altri fanno la stessa cosa per il bagno, tra cui Diana.
Sembra un discorso da approfondire? Parrebbe di no… se non fosse l’avventura della giornata!!
Porto le cioccolate calde al tavolino in riva al lago, dove c’è Mirko appollaiato a rimirar le acque, e noto che Diana non è ancora tornata. Torno al chiosco, mi affaccio alla porta dell’anti-bagno e chiamo mia figlia per sapere dietro a quale porta sia, perché ce ne sono 3. Mi risponde dicendomi “son qui” – bussando sulla porta – “ma la porta non si apre più!”
“ma non l’hai visto il cartello attaccato alla porta? dice “NON USARE”… ci sarà un motivo eh?”
“eh, non ci ho fatto caso” dice lei con un tono tra il preoccupato e l’innervosito.
“ah niente, aspetta che sentiamo dalla ragazza del chiosco”
“sì ma non andare via! provo a scavalcare o a passare da sotto!” e si sente lei che si muove all’interno del loculo.
“ma va là! aspetta un attimo, son qui di fianco dalla ragazza. Sta’ buona lì” anche io sono tra preoccupazione e nervosismo.
Mi giro e fortunatamente c’è Valeria proprio a un passo. Le spiego in due parole [perché è abbastanza evidente] chiedendole aiuto nel riportare il tutto alla barista: il suo inglese è decisamente migliore del mio!!
La barista, gentilissima e paziente, ci spiega che la serratura all’interno è rotta e passa un coltello sotto la porta a Diana affinché lo usi per far slittare il perno [o quel che ne resta, visto che è spezzato] e sbloccare la serratura.
“Diana fai una foto alla serratura così ti diciamo cosa fare se non riesci” le dico mentre le passo il telefono da sotto la porta.
Diamo un’occhiata alla foto e in effetti c’è un moncherino di perno da cercare di far slittare a lato.
Diana smarmina [termine tecnico per indicare tentativi multipli di risoluzione del problema] per un paio di minuti cronometrati, mentre l’ansia di tutti sale alle stelle… non solo questa è chiusa lì dentro ormai da 10 minuti, c’è da dire anche che il tempo passa e tra poco dobbiamo ripartire!!
“eeeeeeee se non si sblocca?”
“Diana stai calma perché altrimenti non ci riesci per forza”
“mmmmmm che pall…”
“Diana piantala!”
Finalmente la porta si sblocca, lei esce e dopo un forte sospiro dice “ahhhhh! beh non ero neanche tanto impanicata!!”
Scoppia una risata generale, Valeria traduce alla barista che parte a ridere mentre scossa la testa e torna al suo lavoro, mentre tutti noi la ringraziamo quel centinaio di volte.

Passato il momento di rasserenamento, prendo Diana da parte, mentre andiamo al famoso tavolino con le famose e ormai fredde cioccolate e con Mirko che ci guarda con aria interrogativa come a dire “come mai ci avete messo tanto?”, e le chiedo con amorevole e materno garbo: “ma come cazzo hai fatto a chiuderti dentro? se era rotta, come hai fatto a chiudere la serratura???”
“eh.. mi sembrava rotta, ma son riuscita col dito a farla slittare, solo che dopo non riuscivo a riprenderlo per aprire”
“e il cartello grande sempre? come hai fatto a non vederlo! DO NOT USE! Porca miseria lo sa anche papà cosa vuol dire!” [parentesi: considerando che Mirko non spiccica parola in inglese, il paragone è più che esaustivo!]
“eh, oh…” dice lei a occhi bassi
E naturalmente, mentre io son lì incacchiata come una pantera, Mirko si esibisce in facce strane cercando di trattenersi dal ridere mentre si immagina la scena… e, naturalmente, poi scoppiamo a ridere tutti e gli racconto i dettagli!
Alla battuta di Diana “non ero neanche troppo impanicata” ormai muore soffocato dal sorso di cioccolata che aveva appena bevuto!

Bon! Ci siamo fatti riconoscere subito anche qui! 😅

Valeria richiama tutti all’ordine e risaliamo sul mezzo, mentre gli altri partecipanti ci sorridono e ci chiedono “tutto ok?”… che carini!

Si riparte, destinazione Fort Augustus: sulle rive di Loch Ness!

Come anticipato, questo tratto dura un paio d’ore e Valeria ci fa sgranchire le gambe 5 minuti facendo tappa in un’area di sosta non casuale: è il punto perfetto per ammirare il panorama collinare con incastonato il Loch Tulla.
Davvero una bella sosta!

Ripartiamo con un bel sottofondo musicale mentre Valeria si riposa le corde vocali qualche minuto, gli occhi incollati alla bellezza che ci scorre accanto.

Un’altra fermata, meritatissima, è la valle di Glencoe. Ci fermiamo, poco prima, al punto d’osservazione delle Three Sisters, tre vette sorelle [appunto] molto suggestive. I dintorni sono un tributo alla natura: è vero che la statale passa proprio da qui, ma sembra quasi non esserci altro che montagne, cascatelle, arbusti, rocce. Pace. Pace assoluta.
Qualche scatto, anche se il momento non è dei migliori: nonostante il cielo nuvoloso, siamo decisamente controluce! Pazienza, tentiamo di immortalare qualcosina ugualmente.

Una bella boccata d’aria prima di tirar su di nuovo la mascherina e risalire sul nostro mezzo, con una splendida sorpresa poco più avanti. Dopo una grande curva, la valle si apre alla vista e lascia a bocca aperta, o almeno per me è così. Mi innamoro subito di quel bellissimo cottage bianco, solitario sotto le montagne e affiancato dal piccolo lago Achtriochtan… sembra un dipinto!
Peccato vederlo scorrere dal finestrino, senza potersi fermare qui. Credo potrei rimanere davanti a quel cottage per ore, probabilmente facendo del pressing a chi lì ci abita, restando fuori con un bel cartellone appeso al collo che cita “ehm… me lo vendi??”

Si prosegue, con i soliti occhi a cuoricino puntati ben bene al di là del finestrino.
E arriviamo in prossimità di Fort William dove Valeria, tutta contenta, ci indica il Ben Nevis [“oggi non è timido e si fa vedere! Spesso è coperto da nebbiolina o nuvoletta”] e ci informa: con i suoi 1345 mt di altezza, è la montagna più alta della Gran Bretagna.
Ok sì, qui in Italia siamo abituati a chiamare “montagne” vette ben più vertiginose, ma devo dire che il Ben Nevis fa la sua figura: nonostante la forma dolcemente arrotondata, trasmette un senso di imponenza.

Il viaggio prosegue, nel suo ultimo tratto, costeggiando i laghi Lochy e Oich che si lasciano intravedere a tratti tra il folto degli alberi.

Ed eccoci a Fort Augustus.
Parcheggiamo accanto al canale mentre Valeria ci illustra le opzioni: mini-crociera sul Loch Ness o giretto a piedi per il paese, poi pranzo e ritrovo al parcheggio.
Optiamo per la crociera, nonostante le recensioni non troppo edificanti, perché modo migliore per osservarne le acque in effetti non c’è. Valeria non sale con noi, e questo ci lascia in balia della guida autoctona [molto autoctona 😱] di cui ovviamente riusciamo a capire 1 parola su 15! Ma va bene così: ascoltiamo ugualmente questo ragazzo giovanissimo che spiega, indicando il monitor presente sul battello, le varie profondità del lago e il punto dove potrebbe in effetti aver casa il super famosissimo Mostro.

Eh sì perché Nessie è lì sotto che gira e se la ride pensando “non mi troveranno mai!” 🤣

Il battello si allontana dal canale per qualche km per poi fare una bella inversione a U e tornare in sede, sicché in effetti in sé per sé non è chissà cosa, però appunto dà la possibilità di ammirare da vicino e ritrovarsi al centro delle misteriose e affascinanti acque nere del lago. Non solo, è meraviglioso lasciar vagare lo sguardo dalle rive, con i loro splendidi boschi, all’orizzonte piatto dell’acqua che sembra proseguire all’infinito.

Tornati a riva e scesi dal battello, ci incamminiamo alla ricerca di cibo: ridendo e scherzando è ora di pranzo! Valeria ci consiglia un posticino per il fish&chips molto rinomato, il “Monster fish&chips Co.”, che scopriamo essere lo stesso dov’è stata una coppia di amici qualche anno fa. Ci fiondiamo e ci mettiamo in fila, dove ritroviamo alcuni dei nostri compagni di viaggio e con cui chiacchieriamo una volta seduti col nostro fish&chips fumante! Devo dare ragione alle recensioni [e agli amici]: il pesce è davvero ottimo, un filetto enorme e carnoso, con però la pastella morbida e non croccante.
I nostri compagni di viaggio ci raccontano delle loro esperienze precedenti in Scozia e dei loro viaggi in giro per il mondo, e ci fanno sognare parlando del loro preferito: parco nazionale di Yellowstone!

È tempo di tornare da Valeria. Qualche scatto al canale, un salto dentro un negozietto di souvenirs [necessito calamita di Nessie!] e la foto di rito al Loch Ness view point.

Si riparte per le prossime tappe sulla strada di ritorno a Edimburgo.

Ripercorrendo un tratto della A82 all’indietro, ci fermiamo al Commando Memorial. Purtroppo incontriamo pioggia e vento, e la sosta è ahimè rapida: uno sguardo al monumento ai caduti della Seconda Guerra Mondiale, all’Area della Memoria [dove sono deposte le ceneri di molti soldati] e alla splendida cornice data dal paesaggio circostante.

Quasi fradici, rientriamo velocemente sul mezzo e ripartiamo, mentre Valeria ci racconta un po’ di storia al riparo dalla pioggia mentre si immette sulla strada.

Per arrivare alla prossima tappa ci vuole un po’ più di un’ora e quindi ci rilassiamo tutti sui sedili e scambiamo due parole tra di noi. Fuori dal finestrino scorrono boschi e pioggia, quale migliore occasione per due chiacchiere.
Dopo una mezz’ora buona, Valeria rallenta un pochino e ci mette sull’attenti per avvistare, alla nostra destra, una piccola ma caratteristica casetta.
Alla faccia! Sarà pure piccola ma è una meravigliosa costruzione in pietra scura, con una torretta da favola che custodisce una scala a chiocciola: Gatelodge, a fianco dell’ingresso principale della tenuta Ardverikie [che non vediamo perché molto molto interna rispetto al cancello], in passato dovrebbe essere stata la casa del custode mentre ora è uno degli alloggi della tenuta prenotabile per le vacanze… mooolto interessante!

Ascoltiamo Valeria nei suoi racconti alcolici… detta così suona male, riformulo: Valeria apre l’argomento whisky [così va meglio 😅] per collegarsi al prossimo avvistamento.
Siamo arrivati a Dalwhinnie e a comunicarcelo è il grande complesso, bianchissimo e dai tetti neri che lo rendono ancora più affascinante: la distilleria!
Peccato non potersi fermare per una bella degustazione! Ahimè sfrecciamo oltre mentre piano piano la pioggia ci lascia, anche se il cielo resta minacciosamente grigio.

C’è da dire che sì, la giornata non è meteorologicamente la migliore ma questo cielo, fitto di nuvole chiare e scure, dona davvero un’aria drammatica e mistica al resto dell’aspro paesaggio. Insomma, che ci sia pioggia o sole, gli occhi si riempiono di bellezza scozzese. Punto.

Proseguiamo per una quarantina di minuti prima di varcare l’ingresso del paesino di Pitlochry, dove veniamo accolti da una sfilarata [tradotto: lunga fila] di cottages vittoriani da far paura! Sono troppo belli, me ne serve uno!!
Qui ci sgranchiamo un po’ le gambe: lasciamo il nostro mezzo nell’area parcheggio e Valeria ci lascia un’oretta in libera esplorazione.

Tornati sulla strada principale il gruppo si divide: chi passeggia guardando le vetrine, chi si inoltra nelle stradine laterali e chi decide di approfittare per una birretta… appena all’interno di una laterale, cattura il nostro sguardo una carinissima piazzetta acciottolata, con grandi botti rivisitate a fioriere e file di tavolini in legno. The Old Mill Inn, veramente una chicca! Non è naturalmente solo un bar, ma è anche ristorante e hotel.
Ci sediamo a un tavolino sotto a un grande gazebo, a cui si accede tramite una passerella in legno molto simile a un piccolo ponte seguito da qualche scalino a scendere. Vediamo altri clienti arrivare al tavolo con le loro ordinazioni e deduciamo quindi che l’ordine si faccia a banco, così mi dirigo verso l’entrata già traducendomi in testa cosa dire… che ansia! 😅
Bene, a banco c’è una ragazza gentilissima che deve aver capito in zero secondi di aver davanti una turista straniera e parla in maniera chiara e [immagino] un po’ più lentamente del suo standard… grazie, ti voglio già bene!
Gentili gli scozzesi, vero?! Altrettanto vero credo sia però la lentezza nel servizio… o forse siamo noi che siamo sempre di corsa? Fatto sta che sia inevitabile fare un rapido confronto [Italia, bar, ordine, birra in mano: tempo stimato 5 minuti – Scozia, bar, ordine, birra in mano: tempo stimato 15 minuti] e un rapido calcolo: ci restano 25 minuti prima di rientrare sul nostro mezzo!
La barista mi passa il vassoio con due birre [una bionda e una rossa] e una coca-cola, ci sorridiamo, ringraziamo e salutiamo a vicenda ed esco dirigendomi al tavolino, sperando di non far cadere tutto [me compresa] nel tragitto fatto di ponti e scalini.
Mirko mi guarda arrivare e già capisco cosa vuole chiedermi, sicché lo precedo: “non è colpa mia, ci hanno messo un secolo a servire… lo so che resta poco tempo, la cacceremo giù in fretta!” e la buttiamo sul ridere.
La birra è veramente fredda [ma anche veramente buona] e anche l’aria non scherza, ma da bravi bevitori nulla ci spaventa e superiamo la missione: birra trangugiata e arrivo per tempo al parcheggio! Fatto anche una foto al volo alla via principale, beccati questa!

Valeria ci riaccoglie con un sorriso chiedendoci anche cosa abbiamo fatto in questa ora. Detto della sosta birra e della velocità di bevuta, lei sgrana gli occhi e dice “beh ma potevate fare con calma, dai! Qualche minuto non faceva mica differenza”, e noi “nessun problema, alla peggio ci sentirete o ridere o russare sul pulmino!” 🤣

In effetti da adesso le soste sono finite: tutta una tirata, sull’autostrada, fino a Edimburgo… potremmo anche farci una pennichella! 😴

Costeggiamo colline, boschi e campagne, sempre accompagnati da un cielo meravigliosamente cupo. A tratti avvistiamo qualche tetto o interi paesini, qualche simpatica pecorella bianca dal musino nero… tutto ci scorre accanto ed è rilassante lasciar vagare lo sguardo in questi spazi.

Arrivati nei pressi di Perth, è la campagna a farla da padrona: le colline si sono allontanate, lasciando spazio a campi e abitazioni.
Dopo aver costeggiato Dunfermline, sempre in autostrada, la visuale si apre davanti a noi e si inizia ad intravedere un intreccio di fili bianchi all’orizzonte. “Cos’è? Un ponte?” chiede uno dei nostri compagni di viaggio.
Eh sì, è proprio un ponte: bianchissimo e formato da tre grandi “vele”, è il Queensferry Crossing.
Nel momento in cui ci siamo trovati sul ponte, non abbiamo potuto non vedere gli altri due ponti sul Firth of Forth: il Forth Road Bridge e il famosissimo Forth Bridge [o Forth Railway Bridge], il ponte ferroviario rosso interamente costruito in acciaio alla fine del 1800… una vera meraviglia ingegneristica.
Alla fine del ponte, sappiamo che l’avventura odierna è quasi finita: manca poco al rientro a Edimburgo.

Il piccolo furgoncino della ScoziaTour rientra alla base fermandosi in Lawnmarket, sul Royal Mile, per far scendere tutti noi e salutarci nella tenue luce serale.

Mentre tutti gli altri si incamminano verso le proprie destinazioni, noi tre restiamo sul miglio reale e controlliamo su Google Maps a che altezza rimane il locale in cui abbiamo prenotato un tavolo… eh sì, stasera ci viziamo un po’ e ci togliamo la voglia di una bella cena in centro storico!
Il Whisky Bar & Restaurant è la nostra destinazione.

L’atmosfera è quella di un pub: muri scuri e tanto legno, luci soffuse e bancone in bella vista alle cui spalle le mensole strabordano di bottiglie di ogni tipo, tavolini e sedie di legno in fila contro le pareti piene di quadretti, specchi e luci.

I ragazzi che ci fanno accomodare e che ci portano i menu sono tutti giovanissimi e molto gentili.

Ormai innamorata della zuppa assaggiata a Leith, Diana ordina una Cullen Skink e un fish&chips. Mirko si lancia sulla Haggis Tower, una vera e propria torretta composta da tre strati: purè di rape, purè di patate e infine haggis, il tutto accompagnato da una strepitosa salsa al whisky. Io vado di filetto di salmone con salsa al limone e purè di patate. Diana si fa la sua dose di Coca [detta così suona malissimo…. Coca-Cola, ovviamente!] e noi grandi invece si va via di birra [un’altra, sì lo so, un’altra… shhhh 😳].

La cena è davvero ottima e ottimo è il locale, questo non ce lo dimentichiamo di sicuro!

Torniamo all’aperto e ci godiamo la luce del tramonto passeggiando fino alla Esplanade del castello. Il cielo cambia colore e diventa porpora, con poche nuvole sparse a impreziosirlo.
Qualche foto, anche se ormai di questa zona ne abbiamo un bel po’, e poi iniziamo a prendere la via dell’hotel.

In camera, ripercorriamo la giornata dicendo cosa ci ha entusiasmato di più e poi… crolliamo!

8 agosto 2020
Driiiiinnnn! Giù dal letto! Altro giorno, altro tour!

Di nuovo al punto di incontro ScoziaTour per partecipare a “Harry Potter e castelli inglesi” 🤩
Già il nome dice tutto, quindi posso anche non raccontare nulla… e invece no, lo racconto lo stesso!

C’è una ragazzina che non vede l’ora di iniziare a far vagare lo sguardo sui castelli e ad ascoltare la guida parlare del famoso maghetto e della penna che lo ha creato… e poi c’è Diana [anche lei non vede l’ora eh!] 🤣.

Preparazione, colazione e partenza alla volta del punto d’incontro sul Royal Mile: ormai potremmo fare il percorso a occhi chiusi!

La giornata è splendida, non c’è una nuvola nemmeno a pagarla… spettacolo!

Serve una piccola premessa: al momento della prenotazione del tour, purtroppo ci hanno informato che il castello di Alnwick, che ha dato forma alla mitica Hogwarts, era chiuso a causa delle restrizioni Covid. Avremmo fatto comunque una sosta per ammirarlo quantomeno da fuori, aggiungendo una tappa al tour per compensare.
Ammetto che sia stato un duro colpo [😂], ma abbiamo accettato di buon grado l’alternativa: Lindisfarne, Holy Island.

Ma andiamo in ordine.

Siamo in attesa degli altri partecipanti, che arrivano in contemporanea alla guida, Martina, e… siamo così pochi? Martina controlla l’elenco: un’altra coppia dovrebbe essere in arrivo e poi ci siamo tutti e 7, 8 con lei.

Dopo una decina di minuti d’attesa, tra una presentazione e una chiacchiera, Martina ci dice di salire sul mezzo “così aspettate seduti”. Scappa il commento generale “viva la puntualità” e anche la nostra guida sembra spazientirsi.
Arriva infine questa coppia di ragazzi a velocità bradipo, con un caffè Starbucks in mano… secondo commento in coro “no ma con calma anche…”

Beh se il buongiorno si vede dal mattino… iniziamo bene no?

Martina, giustamente, intima alla coppia di finire velocemente la colazione e salire perché siamo in ritardo sulla tabella di marcia. I ragazzi cestinano i bicchieri, salgono e si scusano anche con noi per il ritardo.
Va beh vah… per stavolta… 😒

Dai, dimentichiamo l’inizio imperfetto e concentriamoci sul viaggio!

Usciamo da Edimburgo, questa volta in direzione sud-est, verso il confine con l’Inghilterra.
La nostra prima tappa, a poco più di un’ora di strada, è un paese molto carino e caratteristico, famoso per le sue mura che racchiudono il centro storico:
Berwick-upon-Tweed.

Ci fermiamo per un’oretta, e Martina ci consiglia un paio di cose da fare tra cui scegliere: passeggiata per il paese e vista dei ponti sul fiume Tweed [Old Bridge (o Berwick Bridge), Royal Border Bridge e Royal Tweed Bridge] oppure passeggiata sulle antiche mura verso il Mare del Nord.
Non lo dico nemmeno cosa abbiamo scelto noi…
Ci prendiamo il tempo per qualche scatto, dai bastioni elisabettiani al cimitero, dal verde dell’erba al blu del mare, ma soprattutto riempiamo gli occhi del meraviglioso paesaggio davanti a noi.

Il tempo purtroppo ci sfugge via ed è tempo di tornare al parcheggio dove ci aspetta Martina: fugace tappa snack per la figliola patita… e via, a bordo!

La nostra seconda tappa, ci spiega Martina, è Lindisfarne [o Holy Island], l’isola di marea. Così detta per via del suo diventare isola quando sopraggiunge l’alta marea e tornare a far parte della terraferma quando la strada riemerge con la bassa marea, Lindisfarne ci accoglie con il suo piccolo agglomerato di basse casette e con i suoi grandi spazi aperti.

Passare con l’auto su questa strada, sapendo che qualche ora prima era sommersa, fa strano in effetti… emozionante!

Costeggiamo il centro abitato, che pare contare meno di 200 persone, e ci fermiamo in uno spiazzettino. Da lì ci dirigiamo a piedi verso il castello solitario e a pochi metri dal mare.

La passeggiata è resa ancora più interessante dal muretto a secco che ci accompagna fin quasi al castello e dall’essere completamente esposti all’aria fresca e al sole. Questo spazio immenso e aperto è meraviglioso e lo sguardo corre dal luccichio dell’acqua all’erba, alle barche inclinate sulla secca e naturalmente al castello che spicca come una torre su questo piano verdissimo.

Arrivati vicino alla fortezza, notiamo che ci sono vari sentieri tracciati attorno a noi: c’è quello che va direttamente al castello, uno che ci gira attorno e che si collega ad altri che portano alla spiaggia, e uno che si allontana verso una recinzione solitaria in mezzo al nulla… e siccome noi siamo curiosi, prendiamo proprio quest’ultimo.

Sempre accompagnati dal bellissimo muro a secco, che diventa poi muro perimetrale di questa sezione, eccoci arrivati davanti al cancello: lo scrigno di pietre racchiude un bellissimo giardino, il Gertrude Jekyll Garden, pieno zeppo di fiori, piante e arbusti dai mille colori. Dalla targa a lato, scopriamo che la signora Gertrude ha creato questo giardino nel lontano 1911… wow!

Camminiamo ancora sul sentiero in direzione mare, per poi tagliare di nuovo verso il castello. Non entriamo a visitarlo perché ahimè il tempo a disposizione per questa tappa si sta esaurendo. Ci giriamo intorno, sostando in vari punti per ammirare lui, il panorama e il mare, e per fare un [bel] po’ di foto!

Niente, è ora di rimetterci in moto e proseguire verso il castello di Alnwick… di cui non avrei mai immaginato la pronuncia, maledetto! Sentito nominare da Martina un paio di volte, le chiedo: “aspetta, scusa, come si pronuncia?” “ ‘Anik’ ” dice lei, e io così 😳 “e la L e la W??? dove sono finite?” Martina se la ride mentre alza le spalle e aggiunge “mistero dell’inglese!”
No va beh…

Tempo mezz’ora e ci siamo, si vedono già dalla strada le mura che spuntano tra gli alberi.

Martina prende il vialetto che porta al parcheggio del castello per chiedere se sia possibile entrare a vederlo anche solo da fuori.
Gli addetti non sono molto per la quale e ci dicono di andare a parcheggiare poco più avanti, in paese, e di arrivare a piedi alla biglietteria da dove “don’t worry, you’ll see something” … 😟
Così facciamo e ci incamminiamo verso la biglietteria: è vero che non faremo i biglietti e non entreremo, però se qualcosina riusciamo a scorgere va bene dai…
Il grosso problema è che questi simpaticoni non ci fanno affacciare nemmeno un pochino.
Martina ci prova in tutte le maniere a spiegare che eravamo convinti che il castello fosse ancora chiuso, non visitabile. Invece, avendo scoperto proprio ora che il castello era sia aperto e sia visitabile, avrebbe piacere a far vedere al suo gruppo del tour almeno il parco e la parte esterna.
Non c’è verso, pazienza.
Ne approfittiamo per dare un’occhiata a quello che abbiamo attorno e alla piccola piazzetta che c’è qui accanto alla biglietteria: barettino, ristorante e una fontana un po’ particolare…
Sembra una cascata. Dal punto più rialzato l’acqua scende nelle vasche sottostanti. È in effetti molto carina e vorremmo farle una foto, già che ci siamo… L’addetto alla sicurezza [si presume dalla divisa] ci sorride, facendo di sì con la testa come ad acconsentire la fotografia ma poi non si sposta da lì e quindi la bella fontana è accompagnata dal simpaticissimo inglese di turno.

E qui i commenti sulle differenze caratteriali tra inglesi e scozzesi si sprecano proprio!
Ma noi non ci perdiamo d’animo perché siamo un bel gruppo compatto e coeso e con la nostra super guida Martina decidiamo il da farsi mentre ci prendiamo una pausa caffè.
E la pensata è questa: pranzo qui in paese, vista ormai l’ora, e giretto a piedi. Il gruppo si divide: chi va alla ricerca di un pub, chi di un bar, chi di un ristorante e chi come noi trova dei banchetti [nella piazza del paese] che elargiscono cibo da strada.
E hamburger sia!
Considerando il mio super inglese, vado a ordinare tre paninozzi allo stand di due ragazzi giovani e sorridenti. Ovviamente mi sgamano subito: “Italy???” E io annuisco con un sorriso sconsolato. I due si prodigano in una presa in giro bonaria, buttando lì parole italiane a caso e gesticolando come tarantolati.
Ce la ridiamo serenamente mentre tentiamo di comunicare in un mix italo-inglese da far venire i brividi… non so chi stia facendo la figura peggiore 😂
Tolto il siparietto, devo dire che il panino è davvero buono! Birretta di accompagnamento e il pranzo è servito.

Oltretutto non siamo soli: un nostro compagno di tour è qui con noi. Ci siamo trovati bene nelle chiacchiere e le abbiamo proseguite durante il pranzo. Ci racconta un po’ di lui e del suo approccio a questo tour: è vero che abita qui [maledetto!!😩] già da qualche anno, ma non ha ancora fatto il “turista”, così ha deciso di partecipare a questo tour per godersi un po’ di paesaggi e di storia.
Parlando poi di lavoro, ci chiede cosa facciamo noi in Italia. Mirko risponde “metalmeccanico” e io “grafico”, al che si illumina e fa “ma te qui faresti in un attimo a trovare lavoro! Qui impazziscono per gli italiani che hanno a che fare con moda, arte e compagnia bella, e il tuo lavoro comunque rientra nella creazione artistica!”
Non so se piangere o abbracciarlo… decido quindi di assestare una pacca sul braccio di Mirko esclamando “vedi porca miseria? Dai trasferiamoci!! Io lavoro e te fai il casalingo!” 🤩
…. Niente, ho il marito poco collaborativo…

Va beh, diamo un’occhiata all’orologio… dai abbiamo il tempo di fare due passi per la strada principale del paese prima di tornare al parcheggio per la ripartenza.
Alnwick sembra proprio carino, teniamo presente un giro approfondito del paesello quando torneremo [perché TORNEREMO!] per visitare il castello.

Bene, ci siamo e ripartiamo alla volta di Bamburgh!
La strada, a pochi km dall’arrivo, costeggia le scogliere. Il Mare del Nord appare in tutto il suo splendore e ci accompagna fino a destinazione.
Il castello è SUL mare nel vero senso della parola. Imponente, si staglia sullo sfondo blu profondo delle acque e sul dorato della spiaggia.
Macchie di verde e viola colorano l’altura su cui sorge la fortezza e tutto l’insieme sembra un dipinto prezioso.

Scendiamo dal nostro mezzo accolti da un vento allegro che ci scompiglia e ristora, assieme al calore del sole: la giornata è sempre più bella!

Anche qui il gruppo si divide: chi scende verso la spiaggia per fare due passi all’aria aperta, chi decide per la visita del castello.
Noi, questa volta, siamo un po’ indecisi. Alla fine optiamo per la visita, che ci porta sia all’interno delle varie sale, sia all’esterno per godere del panorama.

Tecnicamente la nostra guida non potrebbe entrare con noi, o meglio: può entrare come visitatrice ma senza farci da guida spiegando e raccontando… ahhh queste regole! Che poi, posso capirne il senso: la visita guidata è fatta dal personale già addetto e già presente. C’è da dire però che per chi non capisce perfettamente la lingua, diventa difficoltoso seguire i discorsi e apprezzare le informazioni, e magari permettere ad una guida come la nostra di aiutarci non sembra quel delitto così imperdonabile come lo fanno sembrare.
Devo dire, però, che il signore che ci accoglie all’entrata è di tutt’altro avviso: mentre Martina mette le mani avanti spiegando appunto di non poterci fare da guida all’interno, e quindi pensava di aspettarci fuori [lei il castello lo ha già ben che visto], il signore richiama la sua attenzione invitandola ad entrare con noi senza problemi. Beh questo lo abbiamo capito dall’espressione di Martina, abbastanza sorpresa, dopo aver scambiato qualche parola con colui che abbiamo ribattezzato il “mitico Sir”.

Bene, inizia il giro!

Indubbiamente l’atmosfera e la bellezza delle scalinate, piuttosto che delle sale, dei soffitti, di tutto il legno e la pietra, lasciano a bocca aperta. Noi tre poi, appassionati e amanti del medioevo e dei suoi stili architettonici, non possiamo che emozionarci in luoghi come questo.

Dall’interno, usciamo e passeggiamo lungo le mura osservando la struttura e le file di cannoni puntati verso l’orizzonte. Quell’orizzonte blu, intenso e immenso… potrei stare ore qui, seduta su una panchina ad ammirare questa meraviglia!

Il tempo vola via davvero troppo in fretta, e questo è il “contro” dei tour organizzati: tanti km e poche ore. Però vanno considerati anche i “pro”, che a mio avviso sono di più e quindi rendono l’esperienza positiva:
1- non si ha l’ansia [questo vale per noi] del dover guidare dall’altro lato;
2- non dovendo guidare si può gustare appieno il panorama e tutto ciò che scorre fuori dal finestrino
3- la lingua: avere la guida in italiano, per chi come noi non ha purtroppo troppa padronanza dell’inglese, è un notevole aiuto per apprezzare meglio tutte le informazioni e le curiosità che vengono raccontate.

Ci riempiamo i polmoni di quest’aria fantastica e gli occhi di questa meraviglia che abbiamo di fronte, e risaliamo felici e sorridenti sul nostro pulmino.

Il rientro a “casa” procede per strade secondarie verso l’ultima sosta, immergendoci nelle campagne e nei prati verdi. Tantissime mucche e pecore riempiono i prati, giganti macchie viola di erica colorano i dolci pendii, cottages solitari che spuntano qui e là regalano visioni di una vita tranquilla e semplice legata al ritmo delle stagioni. Io ci metterei la firma adesso!

Martina Martina… quante cose belle ci hai fatto vedere oggi, e manca ancora l’ultima!
Eccoci arrivati a… ma questo è davvero un paese?
Abbiamo svoltato in una strada ai cui lati si susseguono i pochi piccoli edifici che costituiscono questo minuscolo paesino: Etal.

Sarà anche piccolo, ma ha tutto il necessario! I residenti [una cinquantina di persone, forse meno] hanno a loro disposizione l’ufficio postale, una tea room e un pub!
E poi è proprio una chicca: i cottages bianchi e i prati verdi e curati, sembrano dipinti e usciti da una favola.
La chiesa e le rovine del castello, poi, aggiungono ancora più fascino!

Martina raggiunge il piccolo parcheggio dietro il castello e scendiamo per sgranchire le gambe.
Qui facciamo la conoscenza di quello che diventerà l’incontro più bello della giornata: un micione nero richiama la nostra attenzione con una serie di sonori miagolii. Ci avviciniamo e lui si butta pancia all’aria pronto a prendere un sacco di coccole e grattini!!

Oh caro amico, che bel regalo ci hai fatto!

Dopo le coccole sparisce oltre la siepe e noi ci dirigiamo verso la megalopoli 🤣

Ammiriamo le rovine e la bellezza di questo agglomerato di casupole, e… ovviamente puntiamo il pub: The Black Bull, sei nostro!!
Ci sediamo ad uno dei tavoli di legno all’aperto e chiediamo una buona birra.
Quale migliore conclusione per una giornata splendida e perfetta?!

È tempo di risalire in auto e tornare a Edimburgo, godendoci ancora strade e panorami di campagna.

Salutiamo tutti, ringraziamo per l’ennesima volta Martina e torniamo verso l’hotel. Piccola tappa da Tesco per un tramezzino [ormai li abbiamo assaggiati tutti!] e su di corsa per la consueta turnazione riposo-cena-doccia.

9 agosto 2020
Nuovo giorno, nuova avventura!
Oggi restiamo a Edimburgo per scoprire una parte della città sotterranea e della sua storia: alle 10.45 abbiamo appuntamento al Mary King’s Close.

Dopo colazione, ci dirigiamo con calma verso il centro, prendendoci il tempo di gironzolare per quelle viuzze non ancora esplorate e fermandoci a guardare alcune vetrine a cui siamo sempre passati a fianco velocemente.
Come quella della Maison de Moggy, il cat café… sì esatto, una caffetteria dove ti fanno compagnia un sacco di gatti meravigliosi!!! 🐱🐈‍⬛
L’entrata va solo su prenotazione ma dobbiamo ahimè evitare comunque se non vogliamo seppellire qui Mirko, data la sua allergia… [anche se, caro Mirko, non sarebbe male il riposo eterno qui eh? Hey!! Ahi!! Scherzavo!!]

Eccoci davanti all’ingresso del Mary King’s Close.
La visita è guidata da una ragazza che indossa abiti dell’epoca e che sta per portarci indietro nel tempo, nella Edimburgo del XVII secolo. Ovviamente il tutto è in inglese, e decidiamo di prendere le audioguide.

Questo close e il suo labirinto di strade sotterranee, abitazioni e stretti passaggi, dona un’esperienza davvero unica ed emozionante. Se non abbiamo capito male, dovrebbe essere l’unica parte conservata della Edimburgo del XVII secolo, e passeggiare in questo labirinto di vicoli è indescrivibile.
La guida racconta le storie delle persone che vissero, lavorarono e morirono qui, tra povertà e malattie, mentre ci fermiamo in una stanza che fungeva da abitazione.
La scenografia ci aiuta a comprendere in quale spazio e in quali condizioni una famiglia riusciva a vivere a quel tempo: un piccolo letto, un tavolino, poche sedie e un secchio, sono ciò che si rendeva necessario. Il secchio, naturalmente, non era altro che il wc dell’epoca, il quale veniva svuotato fuori dalla finestra al grido di “gardyloo”.
Questa parola la riconosciamo e ce la ricordiamo bene. Durante il primo viaggio qui, 5 anni fa, abbiamo partecipato al “tour dei fantasmi” e la guida di allora, raccontandoci proprio di quel periodo e delle condizioni di vita della popolazione più povera, ci fece conoscere questo termine: Gardyloo, dal francese “garde à l’eau” [attenzione all’acqua!].

Durante la visita non è possibile fare fotografie, quindi cerchiamo di imprimere nella memoria tutto quello che stiamo vedendo e le informazioni che la nostra guida [e l’audioguida di supporto] fornisce.
Medico della peste [il manichino è davvero inquietante!] e malati, giacigli oggi impensabili, stanze piccole e basse quasi claustrofobiche… attraversiamo tutto questo prima di entrare [o uscire? 😅] nell’iconico vicoletto dall’alto soffitto da cui penzolano i panni stesi. Qui la nostra guida ci fa piazzare nel punto X per la foto di rito.
Il giro è finito, grazie amica del ‘600!

Ci ritroviamo nel negozietto di souvenirs e ritiriamo la nostra foto del Mary King’s Close sottoforma di calamita [così la mettiamo assieme a quella di Nessie!] 😁

Decidiamo di pranzare qui sul Royal Mile e ci fermiamo davanti al pub Deacon Brodie [per l’esattezza Deacon Brodie’s Tavern, in Lawnmarket] per leggere il menu e chiedere se hanno posto per tre… Ci mettiamo in fila per entrare [nel frattempo è arrivata altra gente] e, dopo qualche minuto, una ragazza molto gentile ci fa accomodare accompagnandoci al piano superiore e ci lascia i menu.

I nostri occhi passano dalla lettura dei piatti alla sala del pub e ai suoi particolari: proprio alle spalle di Mirko, sulla parete, ci sono ritratti e stampe relativi al romanzo “Dottor Jekyll e Mr. Hyde” scritto da Robert Louis Stevenson. Lo scrittore pare aver preso l’ispirazione per il suo singolare personaggio proprio dal diacono William Brodie [a cui è intitolato questo locale] e il forte contrasto tra la sua facciata rispettabile e il suo lato oscuro di scommettitore indebitato e donnaiolo.

Non sono solo le pareti a distrarci dal menu: siamo seduti nell’angolo tra parete e finestra e la vista sul Royal Mile è davvero una chicca!

Ok, la nostra amica ritorna per prendere l’ordinazione e “two fish&chips and one haggis, please ☺️” accompagnati da due Innis&Gunn, una coca-cola e una bottiglia di acqua naturale.

Mentre aspettiamo le pietanze, il bere ce lo porta direttamente il barista [sì c’è un bancone bar anche al piano superiore!] che ci saluta in italiano con un grande sorriso: lavora e vive qui da un paio di anni, è contento ma lo è altrettanto quando capitano turisti italiani e può fare due chiacchiere nella sua lingua madre. E figurati, amico, se noi non assecondiamo la chiacchiera volentieri!
Ci saluta raccomandandosi di fargli un cenno per qualsiasi cosa [che gentile!] mentre la cameriera arriva con i piatti… che fame!

Sono seduta di fronte a Mirko, quindi spalle alle sala e al bancone del bar dove è appena tornato al lavoro il nostro nuovo amico, e con la coda dell’occhio vedo passare la cameriera. Qualche secondo dopo vedo Mirko finire la birra, cercare con lo sguardo la cameriera, che sta passando dietro di me, e farle un cenno. Io penso “caspita ordina una birra in inglese!”, e nella stessa frazione di secondo sento lui che dice, in italiano, “me ne porti un’altra per favore?”. Mi volto e invece della ragazza vedo il barista che alza il pollice e va a banco. Mirko sei il solito… 😳
Dopo aver mangiato, non possiamo finire il pasto senza un buon whisky e, approfittando spudoratamente del nostro amico italiano, ci facciamo consigliare un paio di whisky da assaggiare: il primo consiglio è il Dalwhinnie [dai! abbiamo visto la distilleria durante il tour! 🤩], un whisky leggermente torbato e addolcito con note di miele; il secondo consiglio è il Craigellachie, dalla torbatura più intensa e un po’ più secco, rispetto all’altro. Molto buoni entrambi!

Felici e contenti usciamo dal pub e ci incamminiamo con calma verso la nostra meta: abbiamo deciso di dedicare il pomeriggio a Stockbridge, il quartiere dove abbiamo alloggiato la prima volta che siamo venuti ad Edimburgo.
Passeggiando, decidiamo di passare proprio da St Bernard Crescent e rivivere l’emozione di qualche anno prima.
Proseguiamo poi la passeggiata verso uno dei punti più iconici e fotografati della città:
Circus Lane.
È una viuzza acciottolata, stretta e dolcemente curva, che sembra un piccolo mondo a parte. La stradina è delimitata da due file di abitazioni basse e tutte attaccate tra loro. Quasi ogni casa ha siepi, vasi pieni di fiori colorati e piante rampicanti che salgono dal suolo alle finestre del primo piano.
Davvero un piccolo mondo incantato.

Proseguiamo il nostro giretto tra la vie di Stockbridge per un’oretta e poi prendiamo la via del ritorno verso l’albergo, con la consueta tappa da Tesco per l’altrettanto consueto tramezzino da mangiare a turno in camera… quasi quasi ormai ci piace questa dinamica! 😁

Mentre saliamo in camera un unico pensiero invade la nostra mente: questa è l’ultima sera che passiamo qui. Domani purtroppo si riparte, è vero, ma nel pomeriggio e quindi abbiamo ancora tutta la mattinata di domani per un ultimo giro: South Queensferry.
Prepariamo quindi i nostri borsoni facendo attenzione a non dimenticare nulla, ci facciamo una bella doccia ristoratrice e ci mettiamo a letto con felicità e tristezza al contempo.

10 agosto 2020
Sveglia, colazione, saluto allo staff gentilissimo e simpaticissimo, consegna della chiave elettronica della stanza e check out.
Con tutti i nostri zaini in spalla ci dirigiamo verso la fermata dell’autobus in Princes Street: ci facciamo, quindi, di nuovo e per l’ultima volta la nostra passeggiata per le vie del centro storico.
Siamo alla fermata e, in pochi minuti, arriva il nostro autobus: saliamo, salutiamo il conducente, facciamo per pagare il biglietto con la carta [come già fatto in precedenza] e la carta non viene riconosciuta o quantomeno il pagamento non viene effettuato. Questo autista sembra meno predisposto a dare una mano a noi turisti e, un po’ scocciato, ci fa fare un secondo tentativo. Siccome non abbiamo abbastanza contanti, facciamo un passo indietro e scendiamo.
Dall’altro lato della strada fortunatamente c’è uno sportello bancomat… e via di corsa a prelevare!
Risolto il problema contanti, torniamo alla fermata per aspettare l’autobus successivo.
Questa volta, come conducente, c’è una signora che è l’esatto opposto del precedente: non solo è disponibile e molto gentile, con un sorriso aperto e sincero, ma ci chiede dove vogliamo andare e ci invita a restare vicino alla sua cabina perché così ci fa sapere a quale fermata scendere per avere un punto panoramico migliore per vedere il ponte rosso.
Scendiamo dove ci consiglia, e in effetti da qui c’è proprio una bella prospettiva!

Ci incamminiamo e raggiungiamo il paesino di South Queensferry: è veramente una meraviglia, un tripudio di colori!

Dopo la prima passeggiatina per la via principale, iniziamo a guardarci intorno per mangiare qualcosa.

Ormai si è fatta ora di pranzo e troviamo questo posticino [Orocco Pier] che ci ispira molto: il menu esposto sembra interessante e poi il locale è proprio sulla riva del fiordo.
Appena entrati vediamo in fondo alla sala una grandissima vetrata panoramica. Lo dico perché, quando chiediamo se hanno posto per tre persone, il cameriere ci chiede se vogliamo stare dentro o stare in terrazza. Mentre la nomina si gira e guarda la vetrata, e quindi noi pensiamo che forse con “terrace” lui intenda quella parte di tavoli accanto alla vetrata, ottima per vedere fuori come se si fosse, appunto, in una terrazza. In realtà ci porta dall’altra parte del locale, poi giù dalla scala e… nella terrazza esterna!
Bellissima terrazza e bellissimo panorama: abbiamo proprio di fronte il Forte Bridge in tutto il suo rosso splendore… peccato solo che oggi non sia proprio una giornata di sole, anzi è un po’ nuvolo e soprattutto c’è un vento bello fresco che tira spaventosamente. Noi non ci facciamo scoraggiare [ma soprattutto non vogliamo fare una figuraccia! 🤣], ci infiliamo una felpa e restiamo stoicamente a mangiare qui in terrazza!

Diana si prende un tris di mini hamburger che sono proprio una gioia per gli occhi accompagnati da un simpatico cestino di patatine fritte, io prendo un piatto a base di pollo e verdure dai profumi e sapori un po’ orientali dati dal curry accompagnato da piade e salse, e Mirko un panino con verdure e carne accompagnato da insalata.
Finito di mangiare, ci prendiamo il tempo per un paio di foto. Una volta trovata la cassa paghiamo il conto, ringraziamo, salutiamo, e torniamo in strada per proseguire la perlustrazione del paese.

Ahimè il tempo tiranno ci obbliga alla ricerca della fermata dell’autobus: dobbiamo tornare a Edimburgo perché tra un paio d’ore ci aspetta l’air link 100 per riportarci in aeroporto.

Il ritorno in autobus ce lo godiamo dall’alto: saliamo al primo piano e ci mettiamo in primissima fila… non male la prospettiva da qui, non male davvero!
Scesi nuovamente in Princes Street, inganniamo il tempo facendo un giretto nelle strade qui attorno. Parallela della Princes, Rose Street ci sorprende con la sua zona pedonale ricca di locali e adornata di bandierine svolazzanti.

Ci sediamo ad un tavolino di un bar-gelateria e ci regaliamo l’ultima “coccola” in quel di Edimburgo… posso piangere?!

È tempo, purtroppo è davvero arrivato il momento di salutare questa splendida città.
Il tragitto fino all’aeroporto lo passiamo quasi tutto in silenzio. Diana appoggia la testa sulla mia spalla e ci teniamo la mano, mentre guardiamo fuori dal finestrino. Mirko è seduto davanti a noi e ogni tanto si volta a guardarci e sorride… sotto sotto però penso che anche lui sia un po’ triste.

Bene, passati i controlli e fatto il check-in, è ora di tirarci su il morale: e giro per i negozi sia!!!
Poteva mancare un negozio dedicato a Harry Potter? Assolutamente no, e quindi un buon quarto d’ora lì dentro non ce lo toglie nessuno. Giriamo tra le varie scansie dei negozi di prodotti scozzesi e mi decido a prendere una bellissima e morbidissima sciarpa in lambswool, Diana invece impazzisce per una coppia di elastici [“scrunchies!”… sì Diana ho capito!] di cui uno nero simil velluto e l’altro in stile tartan sul rosso. Non potevano mancare il fudge, oltretutto confezionato in una carinissima scatola di latta azzurra che cita “Isle of Skye – sea salt – caramel fudge”, e una scatola di tè: ce ne sono mille mila della “Edinburgh – tea&coffee company ltd”, ma a Mirko cade l’occhio sulla confezione di “Whisky Tea”… e proviamola, certo!

Tra un negozietto e una smangiucchiata al bar, ormai si è fatta ora di salire sull’aereo… che tristezza, la stessa tristezza disarmante della prima volta che ho lasciato questa terra.
L’ho già detto, lo so, ma per me è davvero come lasciare “casa”.
Fuori dal finestrino la luce cala sempre di più e giù giù giù in basso brillano le luci di paesi e città…

Arrivederci mia amata Scozia

Scozia per sempre
[Alba gu bràth]

2 pensieri riguardo “Il secondo viaggio in Scozia – 2° parte

    1. ah caspita, quindi non ti abbiamo conosciuto solo per qualche mese! Ci siamo affidati a Scozia Tour in entrambi i nostri piccoli viaggi, ci siamo sempre trovati benissimo! Grazie per il tuo messaggio 🙂

      "Mi piace"

Scrivi una risposta a Lorenzo C. Cancella risposta